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domenica 14 dicembre 2014

Elezioni, elettori ed eletti nell'antica Repubblica di Roma

Lucio Giunio Bruto.
Narra la leggenda che una violenza perpetrata a Lucrezia da parte di un figlio di Tarquinio il superbo, fu l'ultimo misfatto dei Tarquini, che determinò una sollevazione generale contro la monarchia.
Il padre di Lucrezia, il marito Collatino ed il suo grande amico Lucio Giunio Bruto decisero di vendicarla, provocando e guidando una sommossa popolare che cacciò via i Tarquini da Roma e li costrinse a rifugiarsi in Etruria. 
Nacque così la res publica romana, i cui primi due consoli furono proprio Lucio Tarquinio Collatino e Lucio Giunio Bruto artefici della sollevazione contro quello che poi divenne l'ultimo re di Roma.
Roma nel periodo repubblicano (510 a.C. - 30 a.C.) diede vita ad una democrazia equilibrata.
I cittadini ebbero la possibilità di esprimere la propria volontà mediante il voto sia per eleggere i propri governanti (potere esecutivo) sia per approvare le leggi dello Stato (potere legislativo), sia per giudicare dei reati (potere giudiziario).
Consoli della Roma
 Repubblicana.
Esistevano tre differenti metodi elettorali. 
I comitia curiata tenevano conto della famiglia, i comitia tributa della residenza, i comitia centuriata del reddito e dell'età.
Il Senato era costituito da coloro che avevano ricoperto cariche pubbliche e quindi era eletto indirettamente dal popolo quando eleggeva i governanti.
tribuni della plebe erano a protezione di tutti i cittadini a qualunque classe appartenessero, ed avevano il compito fondamentale di proteggere dagli abusi e dai soprusi delle autorità.
Le cariche erano a tempo (in genere un anno, solo i senatori erano a vita) e ripartite tra più persone (2 consoli, 2 censori, 10 tribuni, 6 pretori, 8 questori, ecc.), in modo da evitare la concentrazione del potere.
Non esistevano blocchi per l'accesso alle cariche. Anche homines novi potevano raggiungere i più alti gradi dell'amministrazione pubblica.
Un sottile gioco di equilibrio impediva ad ogni autorità di agire indiscriminatamente. I censori potevano espellere i senatori anche se erano a vita, i tribuni potevano bloccare gli atti delle autorità, i senatori potevano preparare le leggi, ma non potevano approvarle, le assemblee popolari potevano approvare o respingere le leggi, ma non potevano proporle, ecc.
Ogni magistrato poteva essere chiamato a rispondere in giudizio del proprio operato al termine della carica.
Attraverso secoli di riforme Roma era riuscita a realizzare una repubblica veramente res publica, "cosa di tutti" . Il cittadino romano era orgoglioso di essere civis romanus.
Il cittadino romano era impegnato per molta parte del suo tempo nella attività politica.
Circa la metà dei giorni dell'anno erano qualificati dal calendario romano come dies comitiales, giorni nei quali era possibile tenere comitia, ossia assemblee pubbliche.
Il cittadino partecipava alle assemblee per:
- eleggere direttamente i responsabili della pubblica amministrazione: dai presidenti del consiglio (almeno 2), ai ministri, ai prefetti, ai questori, ai giudici, ai procuratori, ecc.
- approvare le leggi
- giudicare alcuni casi di rilevante importanza.
Potevano partecipare alle assemblee i cittadini maschi maggiorenni (di età superiore a 16 anni). Erano esclusi gli stranieri, anche se residenti, gli schiavi, le donne.
Oltre al Senato e ai concili della plebe (concilia plebis), esistevano tre assemblee:
- i comitia curiata, dove i cittadini partecipavano divisi in 30 curie, raggruppamenti di diverse gentes, a loro volta raggruppamenti di famiglie;
- i comitia tributa, dove i cittadini partecipavano divisi in 35 tribù, raggruppamenti su base territoriale;
- i comitia centuriata, dove i cittadini partecipavano divisi in 193 centuriae, raggruppamenti sulla base del censo e dell'età.

I comizi curiati (Comitia Populi Curiata) furono una assemblea romana, risalente all'epoca Regia e perciò la più antica di Roma, cui i cittadini romani partecipavano suddivisi per curie, che la tradizione romana vuole fossero state create da Romolo. Nata con funzione consultiva del Re o dei magistrati, divenne il principale organismo assembleare romano nei primi anni della Repubblica, per poi perdere rapidamente rilevanza a favore di altre forme assembleari, come i Comizi Centuriati. Si riuniva nel Comizio, il centro politico di Roma situato nel Foro Romano. Tutti i maschi adulti delle sole famiglie patrizie, almeno all'inizio dell'età monarchica, partecipavano alla più antica assemblea cittadina di Roma. In essi, i membri delle gentes erano suddivisi in 30 curie (da couviria, insieme di uomini), 10 per ciascuna delle 3 tribù da cui si era formato il nucleo della città di Roma: i Ramnes (Latini), i Tities (Sabini) e i Luceres (Etruschi). Da uno scritto di Aulo Gellio, si potrebbe ricavare che nei comitia curiata si votasse in base alle gens originarie. I comizi curiati venivano convocati ogni qualvolta il Re, che li presiedeva, avesse necessità di avere il consiglio dai cittadini romani. L'assemblea, che non poteva autoconvocarsi, non aveva il potere di proporre o modificare le deliberazioni proposte dal Re, potendo quindi solo accoglierle o rifiutarle. Allo stesso modo, quando si doveva eleggere il nuovo Re, ai comitia curiata spettava il compito di accettare o meno il candidato re, ratificato dal Senato su proposta dell'interrè, attraverso la lex curiata de imperio. Secondo Dionigi di Alicarnasso a questi comitia erano attribuite tre funzioni principali: 1) accettare o rigettare leggi; 2) decidere della pace e delle guerre; 3) eleggere i magistrati.Theodor Mommsen circoscrive la possibilità dei comitia curiata di decidere della guerra, ai soli casi in cui era necessario rompere un trattato prima di scendere in guerra. Secondo il De Francisci, questa assemblea non deteneva di fatto poteri evidenti. Non aveva un potere elettorale, poiché il rex era designato da un pater nella qualità di interrex, oltre al fatto che il tribunus celerum, il magister populi, i duumviri perduellionis ed i quaestores parricidii erano tutti creati dal rex. Le loro funzioni risultavano: - di sicuro non elettorali, poiché una volta eletto il rex (e più tardi i magistrati maggiori), ne seguiva la sua acclamazione davanti al popolo riunito (attraverso la lex curiata de imperio), che si obbligava nei confronti del neoeletto all'obbedienza; - neppure legislative, poiché la materia era riservata al solo rex (leges regiae); - e neanche giurisdizionali, in quanto il popolo poteva solo assistere ad una grave condanna contro chi si era macchiato di aver attirato sull'intera comunità l'ira degli dèi e, per questo motivo, meritava il supplicium. Sempre secondo il De Francisci, l'attività delle curiae fu limitata alla vita di gruppi minori, dinnanzi alle quali si compivano: - gli atti del testamento (calatis comitiis), dove il pater familias designava ufficialmente il suo successore; - la detestatio sacrorum, ovvero la rinuncia al culto familiare (connesso molto probabilmente con l'adrogatio); - la cooptatio, che rappresentava l'ammissione di una nuova gens nella comunità romana; - e l'adrogatio quando un pater familias si sottoponeva alla protezione di un altro pater. Ed anche in questi casi, i comitia curiata non avevano una vera e propria funzione deliberante. In epoca repubblicana, secondo quanto alcuni storici moderni sostengono, costituì la principale assemblea durante i primi due decenni del periodo repubblicano di Roma antica. Quando si trattò di decidere se restituire i beni sottratti alla famiglia dei Tarquini, cacciati da Roma in seguito alla caduta della monarchia, i consoli Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino lasciarono che la decisione fosse presa dalle curie riunite. La curia in epoca repubblicana sembra si trasformò in un'assemblea con funzioni legislative, elettorali e giuridiche. Una delle prime funzioni attribuite a questa assemblea nel 509 a.C., ossia nel primo anno della Repubblica, fu la Provocatio ad populum, ossia la possibilità che potesse essere trasformata in altra pena la pena capitale di un condannato a morte. I Comizi curiati approvavano le leggi, eleggevano i consoli (gli unici magistrati eletti in quel periodo), e cercavano di risolvere i casi giudiziari. I consoli presiedevano sempre questo genere di assemblea. E mentre i plebei potevano partecipare a questa assemblea, solo i patrizi potevano votare [senza fonte]. Poco dopo la nascita della Repubblica, i poteri dei Comitia curiata vennero trasferiti ai Comitia centuriata ed ai Comitia tributa, e così, con l'emanazione delle Leggi delle XII tavole (451-450 a.C.) la provocatio ad populum venne attribuita ai Comitia centuriata. Mentre i comitia curiata caddero in disuso, lasciando solo qualche funzione teorica, tra cui il potere di ratificare le elezioni dei maggiori magistrati romani (consoli e pretori) approvando la legge lex curiata de imperio, che conferiva l'autorità legale del comando (imperium). In pratica, essi ricevevano questa autorità dai Comitia centuriata (che li eleggeva formalmente), giusto per ricordare l'antico potere regio di Roma. E perfino dopo aver perduto i propri poteri, i comitia curiata continuarono ad essere presieduti da consoli e pretori, essendo a volte oggetto di ostruzionismo da parte di magistrati come i tribuni della plebe (e presagi sfavorevolim, come accadeva anche in altre assemblee). Gli atti di questa assemblea divennero così più che altro simbolici. Ad un certo punto, attorno al 218 a.C., l'assemblea delle trenta curie venne abolita e rimpiazzata con trenta littori, uno per ciascuna delle gentes originarie patrizie. Poiché la curia era da sempre stata organizzata sulla base della famiglia romana, in realtà mantenne una sua giurisdizione sulle gentes anche dopo la fine della Repubblica romana (27 a.C.). Sotto la presidenza del Pontifex Maximus, era testimone e ratificava testamenti e adozioni, eleggeva alcuni sacerdoti e trasferiva alcuni cittadini dalla classe dei patrizi a quella dei plebei (o viceversa). Nel 59 a.C., infatti, trasferì Publio Clodio Pulcro dallo status di patrizio a quello che gli permettesse di candidarsi a tribuno della plebe. Nel 44 a.C., ratificò il testamento di Gaio Giulio Cesare, e con l'adozione dello stesso di suo nipote Ottaviano (il futuro primo imperatore romano Augusto) come suo figlio ed erede.

I comizi tributi del popolo (Comitia Populi Tributa), furono le assemblee, comprendenti sia patrizi che plebei, distribuiti territorialmente in trentacinque tribù, quattro tribù urbane e trentuno tribù rurali, nelle quali tutti i cittadini romani venivano collocati per scopi elettorali e amministrativi. Come per i comizi centuriati il voto era indiretto, con un voto assegnato ad ogni tribù. I comizi tributi erano organizzati su base territoriale. La composizione di questo comizio andò aumentando nel tempo, con l'accrescersi del numero di tribù, dalle quattro dei primi comitia, alle 35 definitive del 241 a.C. Per come era distribuita la popolazione all'interno delle tribù, con la maggioranza della popolazione di Roma distribuita tra le uniche quattro tribù urbane, il voto era quindi fortemente sbilanciato a favore delle trentuno tribù rurali. I comizi tributi si riunivano alla sorgente Comizia, nel Foro Romano, ed eleggevano gli Edili (solo quelli curulis), i Questori. I comizi tributi sono oscuri nella genesi come nelle loro funzioni specifiche: sappiamo che erano molto attivi e che insieme ai concili della plebe assorbirono totalmente l'attività normativa dei comizi centuriati (emanavano le leges della repubblica a parte quelle de potestate censoria e de bello indicendo che restarono ai centuriati), anche per una ritualistica religiosa semplificata. Eleggevano i questori, gli edili curuli, le cariche ausiliarie e, da un certo periodo, anche il pontefice massimo ed altre cariche sacerdotali (anche se votavano solo 17 tribù estratte a sorte per motivi religiosi). In epoca tardo repubblicana, condussero gran parte dei processi, finché il dittatore Lucio Cornelio Silla stabilì le corti permanenti (quaestiones). Svetonio racconta che al tempo di Augusto, primo imperatore romano: «E anche durante le elezioni dei tribuni, nel caso non ci fosse un numero sufficiente di candidati tra i senatori, li prese tra i cavalieri romani, tanto poi da permettere loro, una volta scaduto il mandato, di rimanere nell'ordine che volessero.» (Svetonio, Augustus, 40.). Ancora Svetonio aggiunge, contro i brogli elettorali: «Ristabilì anche l'antico diritto dei Comizi e, stabilite molteplici pene contro la corruzione elettorale, il giorno dei Comizi divise alle tribù Fabia e Scapzia, delle quali era membro, mille sesterzi a testa, perché non si aspettassero niente da nessun candidato.» (Svetonio, Augustus, 40.). Sappiamo che lo stesso Augusto, ogni volta che assisteva alle elezioni dei magistrati, passava tra le tribù con i suoi candidati e chiedeva i voti per gli stessi, secondo quanto prescritto dalla tradizione. E anche lui votava nella tribù, come un normale cittadino.

I concili della plebe (concilia plebis) si costituirono in seguito alla secessione della plebe sul Monte Sacro nel 494 a.C. per rivendicare il proprio diritto di partecipare alla vita politica della civitas. In questa circostanza la plebe si dà un'organizzazione: oltre ai concilia plebis, sono creati i tribuni della plebe, gli edili; le delibere della plebe raccolta nell'assemblea convocata dal tribuno della plebe prenderanno il nome di plebiscita (plebisciti). Da queste assemblee, naturalmente, saranno esclusi i patrizi: la plebe ottiene in questo momento la possibilità di una propria iniziativa politica. Le assemblee della plebe (concilia plebis) sono ripartite al proprio interno in tribù territoriali, 35 in totale di cui 4 urbane e 31 rustiche. Sono convocate, lo si diceva, dal tribuno della plebe, il quale, a sua volta, è eletto da questa stessa assemblea. I plebisciti, ossia le delibere della plebe, vengono equiparate alle leggi dal 287 a.C. con la lex Hortensia. Oltre alla funzione elettorale (elezione di tribuni ed edili) e legislativa i concilia plebis svolgono anche funzione giudiziaria. Il luogo in cui l'assemblea si riunisce è l'Aventino, al di fuori del pomerio (le mura della città), sfera sacrale della città. Per le questioni di ordine giuridico e amministrativo le fonti riportano anche Foro e Campidoglio come luoghi di riunione. Il Campo Marzio è adibito per le elezioni alla fine della repubblica. I cittadini sono chiamati all'interno della propria unità di riferimento a concedere o a negare il loro assenso alla proposta avanzata con il solo sì o no. L'opzione del singolo è computata con quella dei suoi compagni nella tribù e la maggioranza delle posizioni diventava quella dell'intera unità.

I comizi centuriati (Comitia Centuriata) furono una delle assemblee popolari della Res Publica Romana, senza dubbio la più importante dal punto di vista delle competenze riservatele; vi si raccoglievano tutti i cittadini romani, patrizi o plebei che fossero, per esercitare i loro diritti politici e contribuire a determinare la vita dello Stato. I Comizi Centuriati eleggevano i consoli e tutti i magistrati curuli, i capi militari e i censori; votavano le leggi importanti, come quelle costituzionali e dichiaravano la guerra. Nelle votazioni, ad esito collettivo, il peso di ogni voto era proporzionale al censo di chi lo esprimeva ed era quindi preponderante il peso dei patrizi. I consoli duravano ordinariamente in carica un anno ed erano eletti dall'assemblea cittadina più importante, fosse questa il parlamento generale di tutto il popolo o il consiglio maggiore, ma di norma i consoli venivano eletti dal popolo riunito nei comizi centuriati. Durante i periodi di guerra, il criterio primario di scelta del console era l'abilità militare e la reputazione, ma in tutti i casi la selezione era connotata politicamente. Inizialmente solo i patrizi potevano divenire consoli. Con le cosiddette Leges Liciniae Sextiae (367 a.C.), i plebei ottennero il diritto a eleggerne uno; il primo console plebeo fu Lucio Sestio, nel 366 a.C. 

Nell'antica Roma i consoli (latino: consules, "coloro che decidono insieme") erano i due magistrati che, eletti ogni anno, esercitavano collegialmente il supremo potere civile e militare ed erano quindi dotati di potestas e imperium. La magistratura del consolato era la più importante tra le magistrature maggiori della Repubblica romana (immediatamente al di sotto della dittatura, che era però magistratura solo straordinaria). Questa la definizione che ne dà Polibio: «I consoli, prima di guidare le legioni al di fuori dalla città [di Roma], esercitano l'autorità su tutti i pubblici affari a Roma. Gli altri magistrati, ad eccezione dei tribuni della plebe, obbediscono ai loro ordini.» (Polibio, VI, 12.1-2.). Il termine derivava, secondo lo stesso Livio, dal dio Conso, una divinità che "dispensava consigli", come dovevano fare i due massimi magistrati della Repubblica romana. L'importanza di tale carica era tale che i nomi dei consoli eletti in un certo anno venivano utilizzati, tramite eponimia, per individuare quell'anno nel calendario romano. I nomi venivano riportati in un apposito elenco, i fasti consulares, da parte dei pontefici. In età imperiale, la carica consolare sopravvisse, ma divenne di nomina imperiale e, dopo la fondazione di Costantinopoli, un console venne regolarmente eletto per l'Occidente e uno per l'Impero bizantino, perpetuandosi tale pratica a Roma anche dopo la caduta dell'Occidente, sino al 534, e a Costantinopoli sino al 541. 

Come vuole la tradizione, i comitia centuriata sarebbero stati il frutto della riforma dell'esercito operata da Servio Tullio, sesto re di Roma, il quale, nel trasformare l'esercito per renderlo più funzionale, trasfuse anche nella vita civile della città la sua riforma, in ossequio all'ideale (già greco) del cittadino-soldato. In realtà l'attribuzione a Servio di una suddivisione così precisa e valsa fino ad Augusto pare anacronistica ai critici, per i quali a Servio si deve la sola riforma dell'exercitus su base censitaria, mentre l'applicazione del medesimo sistema di riunione dei cittadini alla vita civile venne soltanto dopo il passaggio alla repubblica. A quest'assemblea furono demandati i maggiori compiti di governo, il cui esercizio era riservato al popolo, (populus da intendersi chi era presente all'interno dell'esercito, quindi chi si poteva permettere un'armatura), che consistevano principalmente nell'elezione delle magistrature maggiori (consolato, pretura, censura), nella legislazione (spesso in comunione col senato) e nella dichiarazione di guerre. Il primo atto deliberativo di quest'assemblea, secondo Cicerone, fu la Provocatio ad populum, che nella sua prima formulazione prevedeva per i condannati a morte o alla fustigazione, la possibilità di appellarsi al popolo. I comizi centuriati avevano anche il ruolo di tribunale nel caso di condanna a pena capitale, nel giudizio del reato di alto tradimento e, almeno nel periodo repubblicano, fino alla fine del II secolo a.C., non costituisce un giudizio d'appello sui condannati a morte in senso proprio, più genericamente consiste nella richiesta dell'imputato passibile della pena di morte di essere sottratto al potere punitivo (ius coërcitionis) del magistrato e sottoposto al giudizio popolare (provocatio ad populum). Particolarmente esplicativi gli episodi narrati da Livio, Ab Urbe condita 2.27.12 (495 a.C.) e 2.55.4-5 (473 a.C.). Il comizio centuriato aveva il potere di eleggere le magistrature maggiori e di votare le leggi di governo della città, su proposta di un magistrato, come accadde nel 451 a.C. quando approvarono le leggi delle XII tavole elaborate dal primo decemvirato; era anche investito del ruolo di tribunale nei casi in cui c'era in gioco la vita dell'accusato (giudizi de capite civis). In particolare aveva competenza esclusiva in materia di perduellio, ovvero alto tradimento, fino alla riforma operata da Lucio Appuleio Saturnino, che istituì la quaestio perpetua de maiestate ove processare gli accusati di alto tradimento e lesa maestà. Bisogna comunque notare che gran parte della politica romana non veniva definita nel comizio, ma nel senato, e che il comizio veniva sempre più a svolgere un ruolo formale più che sostanziale. Il ruolo chiave del comizio centuriato, come quello delle altre assemblee, che resse Roma insieme al senato in età repubblicana, venne meno con l'aprirsi delle guerre civili e con le riforme di Mario e Silla; una grande rifioritura del ruolo del comizio si ebbe con Augusto, il quale, per dare una veste di legittimità alle riforme da lui portate avanti, fece larghissimo uso della legge comiziale (quasi tutte le sue leggi sono plebisciti e leggi comiziali). Dopo Augusto tuttavia il comizio declinò definitivamente: pur mantenendo formalmente le sue competenze ed attribuzioni, con l'affacciarsi della potestà imperiale anche quest'organo, come poi il senato, disparve nell'ombra, soppiantato appunto dal dominio sul piano giuridico e giudiziario della figura dell'imperatore e dei suoi funzionari. Delle tre assemblee con compiti deliberativi in cui il popolo romano saltuariamente si raccoglieva (oltre ai comitia curiata, v'erano pure i comitia tributa ed i concilia plebis) per guidare la politica dello Stato, questa era l'unica basata su un criterio censitario timocratico, ovvero in cui i cittadini erano raccolti in gruppi sulla base del reddito (e non per genere o provenienza territoriale) ed anche gerontocratico se si considera che i seniores (gli anziani tra i 46 e i 60 anni) avevano una maggiore dignità politica rispetto agli iuvenes (i giovani, compresi tra 18 e 45 anni). È sempre Livio a darci le informazioni principali sulla composizione dei comitia centuriata, spiegando le vicende della riforma di Servio Tullio. In particolare, Livio nota che l'armamento previsto per ogni classe era a carico del soldato stesso (tranne i cavalli, pagati dallo stato 10000 assi per l'acquisto del cavallo + 2000 assi/anno per il mantenimento del cavallo) e che a maggiore censo si accompagnavano, oltre a maggiori costi per le armi, anche un maggiore peso politico. Inoltre la suddivisione tra seniores e iuvenes indicava anche diversi compiti in stato di guerra: agli anziani era affidata la difesa dell'Urbe, ai giovani le guerre fuori Roma. Di seguito ecco la suddivisione dei cittadini in assemblea: - 18 centurie di Equites equo publico (fanti a cavallo), aggregate alla prima classe; di queste 18, 12 erano di nuova formazione, mentre le altre 6 centurie erano già previste nell'ordinamento, 3 istituite inizialmente da Romolo (una centuria per tribù), altre 3 aggiunte da Tarquinio Prisco. - I classe (cittadini con reddito superiore a 100.000 assi): 80 centurie (40 seniores + 40 iuvenes); portavano la panoplia greca al completo, comprendente elmo, clipeo (uno scudo tondo), gambali e corazza, tutto di bronzo; inoltre, asta e gladio; a questa classe erano aggregati gli equites e 2 centurie di fabri, ovvero gli addetti alle macchine da guerra, disarmati; - II classe (cittadini con reddito compreso tra 100.000 e 75.000 assi): 20 centurie (10 + 10); portavano lo stesso armamento della I classe, tranne la corazza ed il clipeo, sostituito da uno scudo quadrato; - La terza classe (cittadini con reddito compreso tra 75.000 e 50.000 assi) 20 centurie (10 + 10); come la II classe, meno i gambali; - La quarta classe (con reddito compreso tra 50.000 e 25.000 assi) 20 centurie (10 + 10); portavano solo asta e gladio, nulla per difendersi; - La quinta classe (con reddito compreso tra 25.000 e 11.000 assi) 30 centurie (15 + 15); erano frombolieri; - A queste 188 si sommavano altre 5 centurie di inermes (disarmati): falegnami (fabrii tignarii); fabbri (fabrii aerarii); suonatori di tromba (tubicines); suonatori di corno (cornicines); aggiunti dopo i censiti (accensi). Gli accensi erano soldati di riserva, armati di giavellotti e fionde, ma perlopiù usati come: messaggeri fra gli ufficiali; manovalanza per fortificazioni o per ricercare i feriti e sotterrare i morti dopo la battaglia; furieri. Per Dionigi gli accensi sono una VIª classe [Antichità Romane VII,59,3] che chiama velati (vestiti di tunica, anziché corazzati): «una centuria unica di cittadini sprovvisti di mezzi» [Antichità Romane IV, 18, 2]. Per Livio «Aggregati alla Vª classe erano gli accensi, i suonatori di corno e di tromba, divisi in tre centurie» [Ab Urbe Condita I, 43, 7]; ma è controverso perché così, aggiungendo una centuria di capitecensi, le centurie arrivano a 194 contro tutta la tradizione concorde che fossero 193! I casi sono due: o gli accensi sono presi dalla centuria di proletari e capitecensi, esenti da tasse e leva militare (imposte in base al censo), o i capitecensi erano proprio esclusi dalle votazioni. All'interno di ogni classe poi la distinzione fra iuniori (fino ai 45 anni) e seniori (dai 45 ai 60 anni) distingueva quelli obbligati al servizio attivo dalle riserve (adibite alla difesa della città). Visibilissime sono inoltre le affinità con la tattica oplitica di origine greca, sorta in Grecia proprio nello stesso periodo. I cittadini venivano riuniti in centurie per esercitare il loro diritto di voto, che esercitavano personalmente all'interno di ogni centuria, definendo l'ordinamento ideologico della stessa, e collettivamente durante le votazioni del comizio. Ogni centuria esprimeva un solo voto, seguendo un certo ordine; in questo modo, la maggioranza assoluta, necessaria per prendere una decisione, era fissata a 97 voti su 193 (quindi 97 centurie). Le operazioni di voto seguivano l'ordine delle classi, definite in base al censo dei componenti; prima, però, veniva estratta a sorte dalla prima classe una centuria, detta centuria praerogativa (ovvero "che decide prima"), la quale esprimeva pubblicamente il suo voto davanti alle altre, influenzando non poco le votazioni successive. Di seguito le centurie votavano in ordine, dalla prima alla quinta classe, fino a quando non fosse stato raggiunto il quorum di 97; non appena fosse stato raggiunto il suddetto quorum le votazioni venivano interrotte e la decisione presa. Storicamente, i casi in cui le centurie della terza e delle successive classi espressero il proprio voto furono minime; spesso le decisioni venivano prese ancor prima che votasse la seconda classe, dal momento che le centurie della prima classe (80 di fanti + 2 di genieri + 18 di cavalieri) avevano la possibilità di raggiungere agevolmente il quorum senza l'ausilio di nessun altro. Così si realizzava il dominio dei più ricchi, all'interno di un organismo di facciata in cui tutti avevano il medesimo diritto di voto. Qualche parziale quanto effimera modifica di questo sistema di voto si ebbe nel II secolo a.C.; in particolare nel 150 a.C. gli equites vennero distaccati dalla prima classe ed il loro censo stabilito pari a dieci volte quello dei membri della prima classe; in seguito Gaio Gracco fece approvare nel 123 a.C. un plebiscito in cui si disponeva che la centuria praerogativa venisse sorteggiata "ex quinque confusibus ordinis", cioè fra tutte le centurie delle cinque classi; questo plebiscito rimase vigente per pochi anni, fino alla restaurazione sillana, che ricostituì l'ordinamento antico. Si deve ovviamente a Servio Tullio la prima convocazione del popolo secondo l'ordinamento centuriato; secondo Livio, che riporta testimonianze anche di un altro storico romano, Fabio Pittore, il comizio fu convocato in armi al di fuori del pomerium, il confine sacro della città, nel Campo Marzio, luogo che restò sua sede anche per le successive convocazioni. Durante la prima convocazione Servio elevò sacrifici agli dei e celebrò la conclusione del censimento (lustratio), effettuato proprio per la costituzione del comizio centuriato. Secondo Fabio Pittore erano presenti 80000 uomini in armi, numero che crebbe poi nel tempo rendendo la convocazione sempre più difficile.


All'interno dei raggruppamenti, una sorta di circoscrizioni elettorali, vigeva il principio una testa un voto.
I raggruppamenti non erano omogenei numericamente. Ad esempio metà delle centuriae era di giovani (dai 17 ai 46 anni) e metà di anziani (superiori ai 46 anni). In tal modo si teneva conto della maggiore esperienza degli anziani.
I risultati delle votazioni erano a maggioranza su base circoscrizionale (una circoscrizione un voto).
Venne assicurata la segretezza del voto per evitare brogli elettorali.
Il Senato fu costituito per gran parte del periodo repubblicano da 300 membri a vita. I senatori erano ex amministratori pubblici che venivano inseriti di diritto nelle liste senatoriali. Ma poiché gli amministratori erano eletti dal popolo, non poteva entrare in senato se non chi era stato eletto dal popolo.
Il Senato non poteva legiferare, ma solo preparare le leggi che poi i comitia avrebbero approvato o respinto.
Il popolo poteva anche approvare delle leggi nei comitia tributa senza l'intervento del Senato.
Nella Roma repubblicana esisteva sostanzialmente una forma di democrazia diretta, senza l'intermediazione dei politici di professione tipica della odierna democrazia.
I candidati alle cariche pubbliche (consoli, pretori, edili, questori, tribuni, ecc.) dovevano seguire un iter prestabilito con intervalli temporali minimi tra una carica e la seguente. La reiterazione della carica era solitamente proibita. Cominciando verso i 30 anni la carriera poteva concludersi con il consolato intorno ai 40-45 anni.
Le cariche avevano una durata molto limitata (1 anno) ed erano attribuite ad un minimo di due persone contemporaneamente per non consentire che troppo potere fosse concentrato in un solo individuo.
Le elezioni dei consoli si tenevano in genere a luglio, ma l'entrata in carica era prevista per gennaio dell'anno seguente. In tal modo i consoli avevano solo sei mesi (da gennaio a giugno) di potere indipendente, poi dovevano tener presenti i loro successori.
I tribuni della plebe non appartenevano alla schiera degli amministratori, ma venivano eletti per proteggere i cittadini dagli abusi degli amministratori. Ad essi i cittadini (patrizi o plebei) potevano ricorrere contro il potere costituito.

Da re Servio Tullio quindi, la popolazione di Roma viene quindi ad essere suddivisa in centurie, unità, originariamente di 100 uomini, espressioni delle tribù (nella sistemazione definitiva si arriverà a 35 tribù, 4 urbane e 31 rustiche) suddivise in cinque classi a seconda del loro censo.

Servio Tullio si era reso conto infatti, che per assicurare a Roma una forza militare sufficiente a mantenere le proprie conquiste era necessario un esercito più numeroso di quello che possedeva (un'unica legione di circa 3.000 fanti e 300 cavalieri, detto esercito romuleo). Introdusse quindi il "Census", il censimento della popolazione maschile, che si teneva ogni 5 anni, per individuare le relative classi militari di appartenenza in relazione al patrimonio posseduto. Tale occasione si inaugurava con il "Lustrum" che consisteva in una "Lustrazio": tre animali sacri, prima di essere sacrificati, giravano attorno all'esercito in armi schierato nel Campo Marzio, per rendere splendore e sacralità all'evento. Lustro è rimasto nel nostro linguaggio come periodo di 5 anni. 

Le centurie ottemperavano a funzioni sia militari che politiche; avevano il dovere di costituire l'esercito con le legioni e il diritto di voto nei comizi centuriati, assemblea a cui, nel periodo della repubblica,  erano demandati i maggiori compiti di governo riservato al popolo, (per populus si intendeva l'esercito, dal latino arcaico populare=devastare), che consistevano principalmente nell'elezione delle magistrature maggiori (censura, consolato, pretura), nella legislazione (spesso in comunione col senato) e nella dichiarazione di guerre. Il primo atto deliberativo di quest'assemblea, secondo Cicerone, fu la Provocatio ad populum, che nella sua prima formulazione prevedeva per i condannati a morte o alla fustigazione, la possibilità di appellarsi al popolo.
I comizi centuriati avevano anche il ruolo di tribunale nel caso di condanna a pena capitale, nel giudizio del reato di alto tradimento e, almeno nel periodo repubblicano, a loro si appellavano gl'imputati  passibili della pena di morte per essere sottratti al potere punitivo (ius coërcitionis) del magistrato e per essere sottoposti al giudizio popolare, la provocatio ad populum

L'ordinamento centuriato, così come si presentava in piena età repubblicana, comprendeva i cittadini distribuiti in cinque classi a seconda del loro censo, per complessive 193 centurie. Tale distribuzione è attribuita al re Servio Tullio (sec. VI a. C.), ma è più probabile che lo schema centuriato conosciuto in età repubblicana sia il risultato di una serie di successivi ingrandimenti e adattamenti da un primitivo ordinamento, introdotto appunto da Servio Tullio. 

Non si sa con esattezza quando fu stabilito che occorressero 20 iugeri (lo iugum nell'antica Roma era l'unità di misura di superficie equivalente a 0,252 ha e indicava il terreno arabile in una giornata da una coppia di buoi attaccati allo stesso giogo) per l'appartenenza alla I classe; 15 alla II, 10 alla III, 5 alla IV, 2 alla V. La valutazione in moneta dava 120.000 o 125.000 assi per la I classe, 75.000 per la II, 50.000 per la III, 25.000 per la IV, 12.500 o 11.000 per la V. 

La monetazione a Roma venne introdotta alla fine del IV, inizi del III secolo a.C., per cui i capitali, al tempo, erano misurati in "pecunia" (nome della pecora in latino) non numerata e cioè metallo pesato  (come gli assi in bronzo). Nella prima parte della storia di Roma, dalla sua fondazione (21 aprile 753 a.C.) a tutto il periodo monarchico (753-509 a.C.) e parte del periodo repubblicano, fino al III secolo a.C., il commercio non si basava sull'uso della moneta, ma su una forma di baratto che sfruttava come mezzo di scambio scarti di lavorazione di bronzo informi (aes rude) di valore intrinseco, ossia il valore del materiale. 
La parola latina aes (aeris al genitivo, da cui deriva la parola erario) significava bronzoaes in italiano è tradotto come "asse rude". Il valore dell'aes rude era determinato dal peso e quindi doveva essere pesato ad ogni transazione. Su iniziativa di singoli mercanti quindi, si iniziò ad utilizzare getti in bronzo di forma rotonda o rettangolare su cui era riportato il valore, detti aes signatum, sulla cui superficie venivano impressi i simboli dei marchi che richiamavano l'autorità dell'emittente e ne garantissero quindi l'autenticità. L'aes signatum è considerato un primo passo verso una prima forma di moneta, ma il suo valore era determinato dal peso e all'epoca non vi era una uniformità dei diversi lingotti di bronzo, che pesavano dai 0,5 

Nell'antica Roma del I secolo d.C. con un asse si potevano acquistare 542 grammi di grano, due chili di lupini, un quarto di vino comune, mezzo chilo di pane, o entrare alle terme; quindi un asse poteva valere all'incirca 0,5 € e un sesterzio circa 2 €.

È opinione ormai indiscussa che, identificandosi i patrizi con la cavalleria, tutte le classi di pedites fossero plebee. Il censo necessario per l'appartenenza a ciascuna classe viene riferito dagli antichi in danaro (100.000 assi per la 1ª classe, 75.000 per la 2ª, 50.000 per la 3ª, 25.000 per la 4ª, 12.000 o 11.000 per la 5ª), ma è probabile che questo criterio sia stato introdotto da Appio Claudio Cieco (nel 310 a. C.), mentre in precedenza erano censiti nelle cinque classi solamente gli adsidui, cioè i proprietari di fondi iscritti come tali nelle tribù.

Quali fossero le estensioni territoriali minime per ciascuna classe, non sappiamo, ma l'affollamento della prima classe sembra dimostrare che vi partecipassero tutti i proprietari che conservassero intera l'unità fondiaria (7 iugeri? Lo iugum nell'antica Roma era l'unità di misura di superficie equivalente a 0,252 ha e indicava il terreno arabile in una giornata da una coppia di buoi attaccati allo stesso giogo), e che alle classi inferiori fossero iscritti quelli che per ragioni ereditarie o di altro ordine possedessero di quella unità rispettivamente i tre quarti, la metà, un quarto, o una frazione minore.


Secondo la tradizione a opera del re Servio Tullio, l'ordinamento dell'esercito fu riportato in un'assemblea popolare con funzioni elettorali e legislative, che si riuniva, come l'esercito, nel campo Marzio, all'esterno delle mura cittadine e fu detta comizio centuriato. Del comizio fecero parte tutti i cittadini atti alle armi, cioè i maschi dai 17 ai 60 anni: ma, risultando la deliberazione dell'assemblea non dalla maggioranza dei voti individuali bensì da quella dei voti delle centurie, il vario numero degl'iscritti nelle centurie dei diversi gruppi permise di graduare il peso politico dei voti, in modo che i più abbienti prevalessero sui meno abbientì e i seniores (dai 46 ai 60 anni) sugli iuniores (dai 17 ai 45).

Infatti le centurie non erano chiamate a votare contemporaneamente, né era necessario che votassero tutte. Per prime erano chiamate le sex suffragia della cavalleria di ordine pubblico, poi il resto dei cavalieri e la prima classe; le classi successive venivano chiamata soltanto se non si fosse raggiunta la maggioranza nell'esito della votazione. Quindi, quando lo scrutinio delle centurie del primo bando annoverava 97 voti in un senso, il comizio si scioglieva ed era comunque molto raro che le operazioni procedessero fino alla quinta classe.

Le centurie dei cavalieri e quelle della I classe ammontavano in totale a 98 e disponevano quindi della maggioranza; ciò spiega quindi come, nell'attività elettiva e legislativa dell'assemblea centuriata, prevalessero gli interessi dei ceti economicamente più elevati.  


Lo schema della ripartizione in classi per censo, dato da Livio in I, 43 (Tito Livio, Patavium, l'attuale Padova 59 a.C. - Patavium, 17 d.C., è stato l'autore della “Ab Urbe condita”, una storia di Roma dalla sua fondazione fino al 9 a.C.; ) e da Dionisio in IV, 16 segg. (Dionigi di Alicarnasso o anche Dionisio di Alicarnasso, Alicarnasso, 60 a.C. circa - 7 a.C., la sua opera principale è stata Antichità romane) è il seguente:
la cavalleria (equites) contava 18 centurie, 6 delle quali, col nome di sex suffragia erano le sei centurie di èquites equo publico che aprivano la votazione nei comitia centuriata e avevano quindi una certa posizione di privilegio, poiché potevano determinare, insieme al resto della cavalleria e alla prima classe, la maggioranza nelle votazioni.
Le centurie della fanteria (pedites) erano ripartite, secondo il censo, in classi e in ciascuna vi erano pari centurie di seniores e di iuniores:
la prima classe contava 40 centurie di seniores e 40 di iuniores, complessivamente 80;
la seconda, la terza e la quarta erano composte ciascuna da 10 centurie di seniores e 10 di iuniores, in totale 20 per classe;
la quinta aveva 30 centurie (15 di seniores e 15 di iuniores).
Infine erano assegnate agl'inermi 5 centurie, e precisamente due al genio (fabri tignarii ed aerarii), due alla fanfara (tubicines e cornicines), una agli accensi velati, portatori di bagagli e, all'occorrenza, complementi.
Totale 18+80+20+20+20+30+5=193.

Il rapporto fra le centurie dell'esercito e quelle dei comizi curiati era piuttosto controverso. Secondo una dottrina ispirata alle dichiarazioni di Dionisio, il rapporto era dato dal fatto che ogni centuria dell'ordinamento serviano (o almeno ogni centuria di iuniores nelle classi dei pedites) dovesse fornire alle leve annuali un contingente di 100 uomini. Ma, anche calcolando in 19 le campagne alle quali ogni iunior era tenuto entro i 28 anni d'iscrizione, il continuo guerreggiare dei Romani e il calcolo dei morti in battaglia e d'invalidi presupporrebbe, negli iuniores della prima classe, centurie di 300 uomini (e di 100 nei seniores); sicché alla prima classe avrebbero dovuto appartenere 16.000 uomini validi. Quanto alle classi inferiori, anche a voler ammettere che l'addensamento non superasse da classe a classe il 33%, non avrebbero potuto aver meno di 40.000 uomini complessivamente: con la cavalleria e il proletariato, si sarebbero raggiunti 60.000 uomini validi, un numero di cui Roma non poteva disporre al tempo del re Servio e nemmeno per secoli a venire. Si aggiunga che non solo le operazioni del censimento, ma anche quelle della leva annuale si facevano, come concordemente rilevano gli antichi, fra le tribù in cui la popolazione era divisa a partire appunto, secondo la tradizione, da Servio (nella sistemazione definitiva 35 tribù, 4 urbane e 31 rustiche); ora, poiché dall'incommensurabilità fra il numero delle tribù e quello delle centurie delle varie classi si ricava che le due iscrizioni di ogni cittadino erano indipendenti, si dovrebbe ammettere che alla scelta dei contingenti forniti dalle tribù seguisse un lungo e increscioso lavoro di scarti e sostituzioni, allo scopo di porre precisamente 100 uomini a carico di ogni cellula del comizio, cernita piuttosto difficoltosa.

Si deve rilevare quindi che Livio e Dionisio abbiano descritto l'ordinamento in una fase nella quale era già venuta meno l'eventuale originaria funzione delle centurie come distretti di leva e che la struttura primordiale fosse molto più semplice. Non è assurdo supporre che la distinzione fra seniores e iuniores non sia originaria (come ha sostenuto Beloch) e inoltre l'uso, corrente anche in età avanzata, di chiamare 'classici' i pedites della prima classe e 'infra classem' i rimanenti può far pensare che nei primordi vigesse soltanto questa distinzione elementare, sicché 80 sole centurie (40 di classici e 40 infra classem) fornissero i contingenti alla fanteria. Se poi si pensa che prima della presa di Crustumerium (circa 450 a.C.) le tribù erano venti, la commensurabilità fra tribù e centurie sarebbe stata stabilita almeno per un periodo iniziale.

Ma una siffatta ipotesi urterebbe con il fatto che proprio l'ordinamento descritto dagli antichi è condotto in ogni particolare sulla falsariga di un esercito di due legioni. Le centurie di iuniores delle prime tre classi darebbero 6.000 uomini di armatura pesante (3.000 per legione): le classi quarta e quinta darebbero 2.500 uomini di armatura leggera, con una minima differenza in più rispetto ai 1.200 per legione. Solo i seicento cavalieri delle legioni disporrebbero di un numero triplo di unità comiziali: ma il punto di partenza dei 600 è evidente nella posizione privilegiata dei sex suffragia, i cavalieri di ordine pubblico.

In quest'ordine di idee, preferiamo ritenere che l'ordinamento attribuito a Servio (Servio Tullio è stato il sesto re di Roma e secondo la tradizione regnò dal 578 a.C. al 535 a.C., per 43 anni. La tradizione, a partire dall'imperatore Claudio che aveva avuto come prima moglie un'etrusca e aveva inoltre scritto un'opera sugli Etruschi, lo identifica col magister populi etrusco Macstarna) non abbia mai avuto rapporto con la leva, anzi abbia distribuito i partecipanti al comizio ad imitazione della distribuzione delle forze nell'esercito


Secondo ogni probabilità, i comizi dell'epoca regia non ebbero mai competenza legislativa né elettorale e durante il passaggio (graduale) dalla monarchia alla repubblica, era mediante acclamazione che l'esercito eleggeva i suoi capi prima di muovere guerra. Era naturale che, trasformandosi l'acclamazione in elezione e trasferendola dall'esercito in armi alla popolazione maschile atta alle armi, questa si ordinasse sull'esempio di quello.

Quanto alla data approssimativa dell'ordinamento, poiché dalla critica delle liste dei tribuni militum consulari potestate sembra risultare che il raddoppiamento della legione avvenne circa nel 405 a.C., l'adozione del comizio centuriato è quasi coevo; se ne ha una riprova nella diffusione che proprio allora ebbe la piccola proprietà fondiaria.

I cittadini romani atti a prestare il servizio militare (obbligati ad armarsi a proprie spese e perciò chiamati adsidui) ereano dunque distinti in cinque classi per quello che riguardava la fanteria (sei comprendendo quella dei proletarii) sulla base del censo, a loro volta ordinati in ulteriori quattro categorie: i seniores (maggiori di 46 anni, i veterani) e gli iuniores  (tra 17 e 46 anni, i giovani), ovvero coloro che rientravano nelle liste degli abili a combattere mentre i pueri (di età inferiore ai 17 anni, i fanciulli) e gli infantes (di età inferiore agli 8 anni, i bambini) non erano in età per prestare il servizio militare. In questo nuovo sistema la prima classe, la più facoltosa, poteva permettersi l'equipaggiamento completo da legionario (che prevedeva dispositivi difensivi come corazze elmi e scudi, oltre alle armi offensive, spade e lance) mentre quelle inferiori avevano armamenti via via più leggeri. Le prime tre classi costituivano la fanteria pesante mentre le ultime due quella leggera. Al di sotto di un certo patrimonio (come i  proletarii) non si poteva far parte delle classi delle centurie. Con la riforma serviana vi fu anche l'importante novità che coloro che si distinguevano in battaglia divenissero centurioni, comandanti di una centuria di legionari.


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